Orléans, la mia amata città, era avvolta in un velo di paura. Il drago, con il suo alito di fuoco e le sue squame lucenti come l’acciaio, aveva gettato un’ombra sulla nostra tranquilla esistenza. La fontana, una volta luogo di ritrovo e risate, era ora deserta, il suo fresco gorgoglio soffocato dai ruggiti del drago. Nessuno osava più avvicinarsi per attingere l’acqua. Il drago di Orléans l’aveva reclamata come sua e nessuno osava contestarlo.
Una notte, mentre la luna splendeva alta nel cielo, ebbi una visione. Il drago si avvicinava alla mia cella, il suo alito infuocato lambiva i miei preziosi libri e gli artigli delle sue zampe graffiavano la pietra del mio castello in rovina, già devastato dagli Unni e dai Vandali. Capii che era giunto il momento di affrontare la bestia. Intuii anche che non dovevo essere io a farlo. I cieli mi avevano mandato quella prova per forgiare un nuovo eroe.
Il mattino dopo, con una scusa, mandai il mio apprendista, Urbice, proprio lì dove sapevo che avrebbe incontrato il drago.
Il sole stava tramontando, le ultime nubi ancora arancioni viravano rapidamente al viola, quando Urbice tornò. Il suo volto era più pallido del solito, gli occhi larghi e spaventati. Il respiro affannoso, come se avesse corso per chilometri. Non c’era bisogno d’altri indizi, era ovvio che aveva visto il drago. Si appoggiò con un braccio allo stipite della porta e con l’altro indicò la campagna “Maestro Lifardo…” Lo interruppi anticipando la notizia che non aveva fiato di darmi “Hai visto il drago di Orléans e invece di affrontarlo sei fuggito con la coda tra le gambe.”
Urbice si ritrasse, gettò uno sguardo alle sue spalle e poi serrò la porta del nostro ricovero “Certo che sono scappato! Il drago… è enorme! Mi avrebbe mangiato!”
Cercai di leggere oltre la paura nei suoi occhi. “E tu, Urbice,” dissi con calma, “sei più grande di quanto pensi.”
Urbice scosse con forza la testa ma i capelli bagnati di sudore rimasero attaccati alla fronte. “Non posso farlo, Maestro. Non posso affrontare il drago.”
Mi avvicinai a lui, posando una mano sulla sua spalla. “La paura è naturale, Urbice.” Sentii la tensione nei suoi muscoli, il tremore che lo percorreva. “Ma non lasciare che la paura ti governi. Se oggi vince lei, tu diventerai ogni giorno più debole e più pauroso. Oggi hai paura di un drago, domani avrai paura di un lupo, dopodomani di un gatto e la settimana prossima saranno le mosche a impedirti di uscire da sotto le coperte. Morirai di paura prima di incontrare qualcosa che ti ammazzi. È questa la vita che vuoi?”
Urbice ci pensò a lungo, quella notte. Il giorno dopo mi si avvicinò con già addosso il mantello per uscire. “Vado, ma che cosa posso fare, Maestro? Come posso affrontare una creatura così terribile?” Mi stava chiedendo qualcosa che avrebbe dovuto scoprire da solo. Sorridendo, gli passai il mio bastone. Era un semplice pezzo di legno, ma gli sarebbe bastato. “Con questo,” dissi, “e con la fede. La fede ti aiuterà a superare qualsiasi ostacolo, non importa quanto grande. Quel che manca lo farai tu.”
Urbice prese il bastone e si avviò. Io mi ritirai in preghiera e implorai Santa Pazienza di elargirmi i suoi doni benedetti, poi seguii il mio discepolo e mi sedetti su un masso a distanza di sicurezza. Verso mezzogiorno sentii il terreno vibrare sotto i passi pesanti del drago e il calore del suo alito di fuoco fece appassire le piante intorno a me. Sopra tutto, sentii la preghiera di Urbice, un sussurro di fede che si elevava sopra il clamore. Urbice piantò il mio bordone davanti alla bestia e questa lo azzannò ringhiando. Urbice si mantenne saldo mentre schegge di legno e spruzzi di saliva schizzavano via. Io e quel bordone ne avevamo vista tante insieme… mi rattristò vederlo finire in mille pezzi.
Fu l’improvviso silenzio ad estrarmi dai ricordi del passato. Il ruggito del drago cessò, sostituito da un uggiolio di dolore. Quando rimisi a fuoco la scena, vidi Urbice in piedi e il drago agonizzante a terra con un grosso frammento di legno piantato in gola. Bene. Mi alzai per andare a congratularmi ma una legione di diavoli emerse dalle fauci spalancate del drago di Orléans.
Erano ombre contorte e deformi, che si agitavano in una danza frenetica. Urlavano e piangevano, le loro voci stridule mi sferzarono con un gelo che penetrava fino alle ossa. Il tanfo acre e sulfureo che si lasciavano dietro mi fece lacrimare gli occhi e bruciare la gola. Era la legione di diavoli che viveva nel drago. Ora erano senza una casa in cui rifugiarsi. Il mio discepolo alzò le mani e comandò loro di andarsene. Alzai anche le mie e dischiusi le labbra, ma trattenni il fiato. Urbice si ricordò l’esorcismo e lo pronunciò senza errori. I diavoli si dispersero nell’aria e le loro urla si affievolirono fino a che non rimase altro che il silenzio. Ripresi a respirare normalmente solo quando Urbice ebbe raccolto la maggior parte dei frammenti del mio bastone in una piccola pira grondante bava.
Il mio discepolo aveva superato la sua prova, aveva affrontato la sua paura e scacciato i demoni che infestavano il drago di Orléans. Avrei continuato a borbottare e incalzarlo ancora per molto tempo eppure, in quel momento, non potevo fare a meno di essere orgoglioso di lui. Oggi era diventato un uomo.
Racconto questa e altre curiosità durante le conferenze e le animazioni che offro al pubblico.
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