Ippazio e il drago che rubò il tesoro di Costantinopoli

Sant'Ippazio brucia il drago di CostantinopoliDove si accumula un tesoro, prima o poi arriva un drago.
Ben prima che Smaug prendesse possesso del tesoro dei nani custodito nelle viscere di Erebor, un fatto simile accadde a Costantinopoli. La città era stata rifondata da Costantino espandendo l’antica Bisanzio ed era capitale dell’Impero Romano. In un’ala ben protetta del Gran Palazzo convergevano i tributi versati da tutte le provincie orientali, per essere usati e ridistribuiti alla bisogna. Quell’enorme mucchio d’oro attirò un drago, che ignorò la pittura a encausto all’ingresso del Palazzo in cui Costantino sconfigge un drago/serpente. Costantino era morto da qualche anno quando il drago si infilò tra le stanze del palazzo e ne prese possesso. La bestia giaceva beata tra i gioielli e le pile di monete d’oro, dimenando pigramente il suo enorme corpo e sollevando la testa solo quel tanto che bastava a soffiare il proprio alito mortifero su chiunque osasse avvicinarsi.

A quel tempo era imperatore Costanzo II, figlio di Costantino il Grande. Egli non pensò mai di affrontare al bestia da solo. Sapeva bene che nemmeno suo padre l’avrebbe fatto! Quel dipinto era lì per motivi di pubbliche relazioni coi cristiani, allo stesso modo in cui suo padre aveva fatto mettere nell’ippodromo la colonna serpentina in segno di amicizia coi greci e si era fatto fare una statua in cui era coronato come Apollo per farsi adorare dai pagani.
Costanzo II mandò i suoi soldati contro il drago, ma questi fallirono. Provò quindi con i migliori sacerdoti che aveva a disposizione, ma anch’essi fallirono. Le pile di cadaveri erano ormai alte come i mucchi di monete attorno ai quali il drago strisciava. Restare senza soldi era un problema serio, non poteva certo passare alla storia come colui che aveva perduto il tesoro imperiale!

Costanzo II, nonostante la sua adesione all’arianesimo, si trovò costretto a cercare aiuto oltre le fila dei suoi sacerdoti. Con riluttanza, decise di rivolgersi al vescovo cattolico Ippazio, che colse l’occasione per dimostrare la superiorità della fede cattolica sull’eresia ariana.

All’alba di un nuovo giorno, Ippazio si rivolse alla folla radunata nel foro di Costantinopoli. Con voce sicura, ordinò loro di preparare una grande catasta di legna e di accenderla. Poi, solo e senza armi, si diresse verso il palazzo del drago percorrendo tutta la grande via Mese, normalmente brulicante di vita ma oggi deserta.

La folla restò nel foro, guardandosi bene dall’avvicinarsi al palazzo e allo stesso curiosa di sapere che esito avrebbe avuto lo scontro tra il vescovo e la terribile creatura. Ma per tutto il giorno, non accadde nulla. Il silenzio regnava sovrano, interrotto solo dal crepitio delle fiamme che pian piano consumavano la pira.

Ippazio, dentro al palazzo, si scelse come guida lo spirito di San Paolo, che aveva vinto e bruciato un serpente. Affrontò il drago, pronunciando con fermezza le parole degli Atti degli Apostoli. Il drago si dimenò e cercò di tapparsi le orecchie, schiacciandone una al suolo e infilando la punta della coda nell’altra. Le parole del vescovo riuscirono a far breccia nella mente della bestia e dopo lunghe ore di litanie la costrinsero all’obbedienza.

Il drago, impotente, si attorcigliò con tutte le forze rimanenti al tesoro, ma Ippazio non si arrese. Il vescovo prese il suo pastorale e colpì ripetutamente la bestia, spingendola verso l’uscita del palazzo. Il drago si dibatté, ma alla fine fu costretto ad abbandonare il bottino.

Finalmente, fuori dal palazzo, Ippazio costrinse il drago a seguirlo strisciando per tutta la via Mese, per poi salire sulla pira ardente che la folla aveva preparato. La bestia piantò gli unghioni nelle pietre che lastricavano il foro con tutte le sue forze, ma non riuscì ad opporsi al volere di Ippazio. Il drago fu consumato dalle fiamme.

La notizia della vittoria di Ippazio si diffuse rapidamente per le strade di Costantinopoli. La città intera celebrò il coraggio del vescovo che aveva sconfitto il drago e restituito il tesoro imperiale al suo legittimo uso.


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