La Compagnia della sòla

Compagnia della sola, copertina del romanzo di Simone Laudiero

La Compagnia della sòla è composta di eroi improbabili. Attori squattrinati che escono dal teatro indossando armature di latta, gli abiti di scena dello spettacolo appena finito. Già dalle prime scene emerge la loro inadeguatezza. Vengono però scambiati per combattenti professionisti e immediatamente assoldati dagli abitanti di un villaggio in difficoltà. 

Ho ascoltato l’autore, Simone Laudiero, presentare il romanzo durante una conferenza di BookCity Milano. Ha raccontato di aver scelto un inizio standard, lo stesso canovaccio dei Three Amigos, dove i protagonisti sono costretti a riempire il loro apparire con della sostanza. 

In molte opere concepite dagli statunitensi gli eroi sono generalmente abili e capaci di fare quello che devono fare per salvare la giornata. L’eroe è competente. Noi italiani, invece, abbiamo molta familiarità con l’incompetenza. I personaggi del romanzo sono scarsi in tutto, non sanno recitare e non sanno combattere. Hanno occasionali scintille di umanità e salvano la situazione ma subito dopo tornano a mangiare e ruttare pensando ai fatti propri.

Zappa e spada

Il fantasy all’italiana “zappa e spada” è un genere dove la presenza della zappa serve proprio a chiarire che ci si troverà meno charme che nelle classiche opere di cappa e spada. Brancalonia racconta il nostro Bel Paese mescolando cultura alta e popolare, attingendo al folclore, ad autori come Ariosto e Basile e lasciando spazio a personaggi alla Bud Spencer. I film come Lo chiamavano Trinità hanno dato vita al genere noto in lingua inglese come spaghetti western e con Brancalonia abbiamo ora lo spaghetti fantasy.

La compagnia della sòla è un romanzo che sfrutta l’ambientazione di Brancalonia. La pubblicazione è stata possibile grazie a un accordo tra Mondadori e Acheron di cui Simone Laudiero ha già parlato in un’intervista rilasciata a Fantasymagazine

Il rapporto complesso tra gioco di ruolo e narrativa

Draghi che giocano di ruolo. Immagine generata da Dall-EL’autore, in un saggio pubblicato qualche anno fa, sconsigliava di scrivere romanzi basati sui GdR.
Nei giochi di ruolo c’è un rapporto tra storia e caso che rende più libera la trama di quanto non possa avvenire nel formato narrativo librario. In un’avventura di GdR capita spessissimo che occorra riformulare al volo i piani che falliscono durante l’azione. Basta un tiro basso e tutto quello che sarebbe dovuto accadere muta rovinosamente e costringe il giocatore/personaggio a improvvisare. Il GdR incorpora la caoticità organica e naturale della vita, che viene spesso epurata dalle trame dei romanzi.

Negli anni ’90, sull’onda del successo di Dungeons&Dragons, uscirono moltissimi romanzi scritti (male) da game master che si improvvisarono scrittori. Questo legame troppo stretto tra gioco e libro prolungò il ristagnare della narrativa fantasy nel ghetto della nerditudine.
Oggi si avvicinano alle storie fantasy anche lettori che non hanno mai giocato di ruolo. Il film Dungeons & Dragons: l’onore dei ladri, per esempio, è una bella storia, godibile, adatta ai due pubblici di esperti e non. Quando il film uscì nelle sale, lo scorso marzo, Laudiero lo andò a vedere in ottica di benchmarking e poi riscrisse parti del suo romanzo per incorporare migliorie.

La profondità delle maschere

Il romanzo La Compagnia della sòla è fruibile anche da chi non ha mai giocato, ma la storia risuona bene con i giocatori di ruolo che, come gli attori, sono naturalmente portati a ragionare sui ruoli che interpretano. Chi gioca e chi recita sa di dover gestire il bleed, ovvero la trasfusione di sentimenti, valori e caratteristiche comportamentali tra interprete e personaggio. L’essere e l’apparire sfumano l’uno nell’altro. Il personaggio eredita alcune reazioni emotive dall’umano che lo fa vivere e i fatti che accadono in scena o in gioco influenzano la vita reale.

Alla fin fine, il nostro cervello reagisce a quello che gli arriva e se lo stimolo viene da un nervo che parte da un recettore in un polpastrello o nasce dalla scintilla tra due neuroni che rispecchiano qualcosa che non accade direttamente al corpo fisico in cui operano, poco importa.

Il drago del romanzo (— SPOILER —)

Faragnone. Drago del Macilento. Immagine generata da Dall-E.Detto questo, vediamo com’è fatto e come si comporta il drago in questo romanzo. Il Faragnone è descritto come vermone con denti aguzzi, coda lunga come la corda di un campanile e testa grande come una coppia di buoi. Quando i protagonisti lo incontrano lo scambiano per uno scoglio, tanto è incrostato di cozze, alghe, coralli e alghe. L’incantesimo che lo vincola da centinaia di anni perdura nonostante la morte della maga che lo ha lanciato, di cui resta solo uno scheletro. Da questo dettaglio possiamo dedurre che le richieste metaboliche durante il letargo sono molto basse e permettono di superare lunghi periodi di inattività senza danni fisiologici particolari. Il drago, al risveglio, non accusa dolori da piaghe da decubito, ha solo un po’ di torpore e un sano appetito. Si tratta quindi sicuramente di una specie stanziale, non migratoria e probabilmente territoriale.

Il bestione ha dormito per centinaia d’anni per via di un incantesimo e quando il sonno magico si interompe accusa un po’ di intorpidimento e rigidità nei movimenti. Si è trasformato in una barriera corallina. Le incrostazioni aggiungono durezza alle squame e proteggono dai colpi come i gioielli incastonati nel ventre di Smaug.

Durante il combattimento scopriamo anche che il faragnone non gradisce il peperoncino. La pratica di allevare cuccioli di drago con biberon di tabasco probabilmente deve essere riferita ad altre specie.

Ultimo dettaglio interessante, il territorio del faragnone non viene occupato da un altro esemplare della sua specie durante i duecento anni del suo letargo. Questo può essere causato o da una scarsità di individui nell’areale della specie o nel perdurare di meccanismi di segnalazione del confine e dal mantenimento del rispetto per il territorio di caccia individuale da parte di altri draghi. Ultima possibilità che spiegherebbe il fenomeno è la scarsa appetibilità territoriale del faragnone. Nessuno ne invade il territorio perché il posto è poco allettante. Il drago potrebbe essere quindi un individuo che si è trovato al margine dell’areale adatto al sostentamento della specie. Vista la media di sfigataggine dei personaggi, propendo per quest’ultima ipotesi.

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