Si è dibattuto parecchio sulla collocazione di questi maestosi animali nel grande Albero della Vita. Quali sono i loro rapporti con animali più “comuni”? A cosa è dovuta la loro straordinaria diversità e diffusione nel mondo e qual è la loro storia evolutiva?
I diagrammi ad albero possono aiutarci a rispondere a queste domande e quindi ricostruire la filogenesi dei draghi (s.l.). Pertanto, prima di cominciare la vera e propria conferenza, è utile fare una breve premessa su cosa siano e come si costruiscono questi diagrammi, detti anche alberi filogenetici.
Ecco una ipotesi di albero filogenetico che comprende i draghi.
Nello studio attuale delle specie, oltre alla classificazione pura e semplice, si cerca di ricostruire i rapporti di parentela con le altre e la storia evolutiva, raggruppando le creature in categorie sempre più specifiche: Dominio, Regno, Phylum, Classe, Ordine, Famiglia, Genere e Specie. Ciascuna categoria costituisce un clade, ovvero un ramo dell’albero, il quale a sua volta può avere altre diramazioni più piccole finché non arriviamo alla singola specie.
All’interno del nostro albero, possiamo individuare tre tipi di gruppi fondamentali:
– Monofiletico: in cui considero una serie di specie che condividono un antenato comune accertato. Esempio: l’ordine dei cetartiodattili.
– Parafiletico: considero una serie di specie con un antenato comune ma ne ometto alcune. Esempio: cetacei. Sono un raggruppamento di mammiferi da cui ho escluso gli artiodattili. Un ordine incompleto, potremmo dire.
– Polifiletico: un raggruppamento di specie che non hanno un antenato comune (oppure lo hanno ma molto remoto nel tempo). Esempio: i mammiferi marini, quindi considero: cetacei, foche e otarie e sirenidi.
Nel complesso i nostri draghi (s.l.) sono un gruppo Polifiletico, ovvero non esiste un clade che li raccorda tutti ma sono sparsi in varie altre divisioni.
L’insostenibile esigenza dei sei arti
Qui dobbiamo fare una prima scrematura tra i draghi con quattro arti e quelli con sei.
I primi possono rientrare tranquillamente all’interno dei tetrapodi – nella mia interpretazione li trovate all’interno dei Diapsidi, il clade che comprende rettili e uccelli – per gli altri invece la questione è più complicata:
- In primo luogo, hanno un costo molto elevato in termini energetici: sono due arti extra con ossa muscoli e nervi che richiedono nutrimento e una gran quantità di geni che codifichino per la loro realizzazione. Il vantaggio che se ne ricava non è particolarmente alto – per volare basterebbe riconvertire due arti in ali – quindi perché un organismo dovrebbe fare un simile investimento evolutivo?
- Una volta che hai questi due arti in più dove li attacchi? Come si raccordano al resto della struttura corporea? Dove si agganciano i muscoli?
- Come fa l’animale a coordinare i movimenti? Animali come le scimmie, che hanno riconvertito la coda a quinto arto prensile, in generale mostrano determinate regioni del cervello più sviluppate per poter controllare meglio l’equilibrio. Un drago come risolverebbe il problema? Nel suo caso, contando anche la coda, arriveremo a sette arti da controllare: un lavoro veramente immane.
Evoluzione convergente
Postulare l’esistenza di una creatura con sei arti implica ricercare l’origine di questa mutazione molto indietro nel tempo! Arriviamo ai primi pesci che colonizzarono le terre emerse, che quindi dovevano avere sei pinne in grado di muoversi, le quali poi sono evolute in arti.
Se prendiamo per vera questa ipotesi allora non avremo solo i draghi, ma un intero clade di vertebrati con sei arti (es. Grifoni, Pegaso eccetera), parallelo a quello dei tetrapodi. Arriveremo quindi alla situazione paradossale per cui un drago in senso stretto sarebbe più vicino, a livello evolutivo, al pegaso che non alla viverna. Eppure la somiglianza è molto più marcata tra draghi e viverne. Come mai?
È un fenomeno chiamato evoluzione convergente: creature molto lontane come parentela finiscono per occupare la stessa nicchia ecologica (superpredatore) e assomigliarsi.
Un esempio possono essere il lupo e il tilacino (tigre della Tasmania).
Per il momento lasciamo questi interrogativi ad altri dragologi e concentriamoci sui tetrapodi, secondo il cladogramma indicato.
Fauna del Gondwana
Prendiamo ad esempio due specie molto distanti a livello geografico: l’anfittero, diffuso nel Nord Africa e in parte della penisola araba, e il quetzalcoatl, tipico invece del Sud America.
Entrambi i draghi si caratterizzano per la presenza di un folto piumaggio che ricopre soprattutto le ali. Altre specie hanno sviluppato diversi tipi di rivestimento (come una peluria nel caso dei Simurg) oppure presentano delle ali membranose, come vedremo per coccatrice e basilisco.
Convergenza evolutiva?
In realtà se guardiamo nell’albero filogenetico notiamo che anfittero e quetzalcoatl appartengono entrambi alla famiglia dei Glyptodracones.
Il motivo della loro stretta parentela nonostante l’Oceano che li separa risiede nella deriva continentale.
Infatti, in un periodo compreso tra 660 e 290 milioni di anni fa, Africa e Sud America erano riuniti in un unico continente chiamato Gondwana, in cui abitava l’antenato comune di anfittero e quetzalcoatl, assieme ai dinosauri.
Successivamente, il movimento divergente delle placche tettoniche spaccò in due il continente e generò l’Oceano Atlantico. Trovandosi separate, diverse popolazioni di questo drago ancestrale proseguirono la loro evoluzione in maniera indipendente, ma mantennero il tratto delle ali piumate.
La speciazione
Per capire meglio come funziona la speciazione, consideriamo un esempio più recente: coccatrice e basilisco.
Si tratta di specie che spesso vengono confuse l’una con l’altra, tanta è la somiglianza. Il discrimine consiste nelle modalità di incubazione: il basilisco depone delle uova che somigliano alle femmine dei rospi e lascia quindi che siano i maschi anfibi a covarle (credendo di fare altro), la coccatrice invece scava un nido.
Nell’albero filogenetico li trovate nel gruppo degli scansoriopterigidae, ovvero dei dinosauri piumati caratterizzati però da ali membranose, simili a quelle dei pipistrelli.
I primi fossili risalgono al Giurassico e sono stati rinvenuti soprattutto in Cina: esempio Yi qi.
Il processo di separazione tra specie comincia nel momento in cui, in una popolazione, nascono individui con caratteristiche nuove che apportano un qualche vantaggio: es. uova simili a femmine di rospo.
Esse verranno di conseguenza trasmesse alla prole e si sommeranno ad altri caratteri nuovi e altrettanto favorevoli. Con il tempo le differenze sempre più marcate determinano la nascita di varietà, sottospecie e poi ancora specie distinte, che non potranno più incrociarsi tra loro: nascono individui sterili o a bassa vitalità.
La speciazione fa parte di un processo molto più lungo e complesso che è quello dell’evoluzione e prima di concludere è utile sottolineare alcune cose.
In primo luogo, non si tratta di un processo volto alla creazione di una specie perfetta, ma di una specie adatta all’ambiente in cui si trova a vivere. Le uova del basilisco sono una strategia vincente nel clima umido e temperato dell’Europa, dove ci sono animali che covano le uova per loro, ma non è detto che lo sia nell’habitat della coccatrice.
Le specie, dunque, nascono come frutto di una continua dialettica con l’ambiente e se esso è minacciato lo sono anche loro.
Tranquilli, niente predica l’intervento si ferma qui!
Vi ringraziamo per aver seguito l’intervento, speriamo sia stato interessante e di poter farne altri in futuro.
Per aspiranti dragologi e chiunque volesse approfondire la materia, consigliamo la lettura “Natural History of Dragons – A memoir of Lady Trent” di Marie Brennan, per le straordinarie avventure di Isabella Chamrest.
[Articolo di Benedetta Troni]