Il drago di san Felice di Narco

Bassorilievo di san Felice e il suo dragoIl drago di san Felice era una viverna piumata e, purtroppo, fece una brutta fine. Mauro e Felice, padre e figlio, erano due cristiani vissuti nel VI secolo. Nati in Siria, viaggiarono verso le terre del centro Italia, portando la parola di Cristo e si insediarono nella valle del fiume Nera, in Umbria.

Del drago che rendeva difficile la vita alle genti del posto sappiamo che era una bestia alata, piumata e dotata di alito pestilenziale. La leggenda dice che padre e figlio la attirarono fuori dalla sua tana ma non so dirvi esattamente come andarono le cose. In una versione pare che bastò lanciare dei pezzi di pane per indurla a mettere il capo fuori dalla grotta. Nell’altra si racconta che un colpo di bastone ben assestato fece franare la roccia all’imbocco del cunicolo. Dalla nuvola di polvere emerse la testa zannuta seguita da un lungo collo, che Felice mozzò con un colpo netto di scure. La leggenda dice anche che il drago si dibatteva in preda a gemiti di dolore dovuti alla presenza della croce impugnata da Mauro. Una spiegazione più semplice, e altrettanto valida, lo vede uscire già ferito dalle pietre crollate e, per giunta, accecato dalla polvere. Occam avrebbe preso per buona quest’ultima versione di come andarono i fatti.

I miracoli botanici di san Felice

Il pino di Aleppo rinnova il bosco dopo un incendio. Immagine generata da Dall-ETorniamo alla storia di Felice: fatto anche questo miracolo, il santo piantò per terra il suo bastone. Dal legno spuntarono delle foglioline e ben presto si allungarono dei ramoscelli. Il bordone mise radici e diede origine a un albero diverso da quelli che crescevano nei boschi dei dintorni. Il pino di Aleppo deve il suo nome all’antichissima città siriana, ma oggi cresce nelle terre che si affacciano nel Mediterraneo e abbonda in Spagna. I botanici non sanno se quella che cresce in Umbria è una popolazione relitta, testimone di una grande espansione passata della specie, o il frutto di una coltivazione voluta dall’uomo in tempi antichi.
Oggi è difficile dire dove sia spuntato il primo pino perché la pianta ha un comportamento pioniero: sfrutta zone lasciate prive di vegetazione e le colonizza velocemente approfittando della luce disponibile. Man mano che il bosco si chiude, altre specie di alberi, più amanti dell’ombra, sostituiscono il pino di Aleppo. I coni (le pigne) di questo albero si aprono più facilmente con il calore. Dopo il passaggio di un incendio, le giovani piantine avranno sia lo spazio che i nutrienti necessari a crescere forti e vigorose. La convivenza tra pini di Aleppo e draghi sputafuoco mi pare, quindi, possibile!

Il drago uscito dal fumo

Ora, un’altra possibile spiegazione alla presenza di un drago in queste zone è la coltivazione della canapa.
Fino all’inizio del 1900 l’Italia era un grande produttore di canapa e questo materiale si usava per fare corde e tessuti. Potete anche visitare il museo della canapa per approfondire le tecniche tradizionali di filatura. Certo che se coltivate piante di questo genere in posti soggetti a incendi… qualche effetto collaterale dovuto ai fumi io me lo aspetto!

La chiesa di san Felice

Oggi potete vedere la vicenda di san Felice e del suo drago scolpita a bassorilievo sulla facciata della chiesa romanica.

Felice, dopo aver ucciso il drago e prima che il bastone radicasse, tracciò un solco nel terreno e la melma fetida della palude in cui sguazzava il drago vi si incanalò. Il terreno si prosciugò, la terra fertile sostituì il fango e la gente ebbe a disposizione nuovi campi da coltivare. Il Nera è un grande affluente del Tevere e avevo già parlato delle acque del fiume a proposito del Thyrus di Terni.

La chiesa venne costruita nel 1190, ricostruendo e ampliando un edificio precedente, parte di un complesso benedettino. I monaci sono stati artefici di molte bonifiche, in Italia. Spesso queste opere di canalizzazione e regimazione delle acque sono rimaste impresse nell’immaginario collettivo sotto forma di sconfitta di un drago. La bestia era colpevole di ammorbare l’aria con il suo fiato. Quando il mostro veniva sconfitto da un santo, la gente poteva finalmente vivere in sicurezza e mettere a coltura le terre.

L’agiografo umbro Lodovico Jacobilli, vissuto nel 1600, pone la morte di Felice al 16 giugno dell’anno 535 e quella di Mauro nel medesimo giorno ma vent’anni più tardi. Una ricostruzione più moderna e laica dei fatti, a cura di Mario Sensi, sposta al tempo degli antichi romani la bonifica e la attribuisce ai consoli Tauro e Felice. I fatti sarebbero avvenuti nel 438 e solo un secolo dopo il giovane Felice, arrivato assieme ad altri trecento compatrioti, avrebbe ucciso il drago.

Uh, dimenticavo, nel caso aveste problemi di scabbia, dicono che l’acqua della sorgente lì accanto abbia poteri miracolosi…


Vicende come questa sono raccolte nell’antologia In cerca di draghi, in cui troverete ben documentate moltissime storie del nord Italia. Sto lavorando al volume riguardante il centro e sud, previsto in uscita alla fine del 2025.

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