La dragontea è una pianta inconfondibile. La si può riconoscere facilmente, da fiorita, perchè puzza forte di carne marcia.
Ora, che l’odore di cadavere sia associato ai draghi è una conseguenza della cattiva reputazione che queste bestie leggendarie hanno accumulato da secoli. Qualche tempo fa avevo scritto di un’esperienza olfativva a disposizione dei visitatori dello Smithsonian museum. Lì si poteva annusare l’alito di un T. rex, scientificamente ricostruito. Un drago, probabilmente, gli si avvicina.
Alla nostra pianta l’odore fetido serve a richiamare un insetto impollinatore, che in questo caso è una mosca verde del genere Lucilia. La bestiola segue l’olezzo pregustando di poter atterrare su un delizioso cadavere in putrefazione. Quello, infatti, dal suo punto di vista è il luogo ideale per deporre le uova. Lì le larve avranno da mangiare a sufficienza e la nuova generazione potrà crescere forte e numerosa, con la pancia piena di cibo nutriente.
Invece di un animale morto, la mosca trova il fiore rosso e nero della dragontea. Ci cammina sopra e si spinge a esplorarne le cavità, finendo per ricoprirsi di polline. Quando capisce di aver sbagliato atterraggio, la mosca vola via e c’è una buona possibilità che sbagli di nuovo, finendo in un’altro fiore di dragontea. La pianta è riuscita così a far trasportare il suo polline da un fiore all’altro.
La dragontea (Dracunculus vulgaris Schott) sopravvive all’inverno sottoterra, in forma di tubero. All’arrivo della primavera emette dei forti germogli che spuntano e si aprono in tenere foglie. Al momento della fioritura, tra aprile e maggio, per favorire la sopravvivenza della mosca la pianta fa una cosa curiosa: si scalda fino a raggiungere i 18 gradi.
La specie è originaria della zona del Mediterraneo orientale. Oggi la si ritrova in quasi tutta Italia, dove cresce la macchia mediterranea.
Ha diversi nomi dialettali che richiamano il suo carattere speciale: erba serpentaria, dragonzio, bisciaea e varianti. Se la vedete, non raccoglietela, è tossica.