Si chiama Tarantasio ed è il più famoso abitante del mare Gerundo.
Parliamo del drago nato a Soncino e famoso in tutta la pianura tra l’Adda, l’Oglio e il Serio.
La leggenda di Ezzelino da Romano
“Padre” della leggendaria bestia sarebbe nientemeno che Ezzelino da Romano. Costui era vicario imperiale e genero di Federico II di Svevia, signore di un territorio che comprendeva gran parte del Veneto e Brescia. Fu un condottiero tanto feroce che papa Innocenzo IV lo scomunicò. Il papa bandì addirittura una crociata contro di lui nel 1254, affidandone il comando ad Azzo VII d’Este. A Cassano d’Adda, nel 1259, Ezzelino fu sconfitto e ferito mortalmente. Secondo la tradizione fu sepolto proprio a Soncino.
Un arciprete, vissuto in quel paese nel secolo scorso, testimonia di aver trovato sotto la chiesa un sepolcro contenente lo scheletro di un uomo gigantesco, qual era Ezzelino secondo quanto riportato dai contemporanei. Proprio in quel sepolcro, riferisce la credenza popolare, era nato il drago Tarantasio, come una specie di reincarnazione malefica del crudele signore.
Il ritrovamento delle ossa
Tracce di carattere più “scientifico” erano, e sono, custodite in alcune chiese del territorio, sotto forma di ossa gigantesche. Queste ossa emersero in quelli che un tempo erano i fondali del Gerundo. Secondo Luciano Zeppegno, grande cronista delle curiosità e delle stranezze sparpagliate nelle nostre contrade, nella chiesa di Sant’Andrea di Loi c’era addirittura uno scheletro completo di Tarantasio.
Un osso gigantesco, e precisamente una costola di drago del Gerundo, è ancora oggi appesa al soffitto della sacrestia della chiesa di San Bassiano, a Pizzighettone. La costola, probabilmente, appartiene a una balena fossile o a un elefante. Gli scheletri di balene sono un ritrovamento relativamente frequente nelle Prealpi e, soprattutto, sull’Appennino che si affaccia sulla Pianura Padana.
Le piroghe del mare Gerundo antico
Più interessanti, dal punto di vista storico, altri ritrovamenti che dimostrano l’esistenza dell’enorme specchio d’acqua detto mare Gerundo. Ci riferiamo alle numerose piroghe rinvenute nei fiumi che interessano il territorio. Uno degli esemplari più belli e meglio conservati è nel cortile del Museo di Crema. Lo hanno restaurato con sostanze speciali che ne hanno arrestato il processo di dissoluzione. Le piroghe del Gerundo sono monossiliche, cioè ricavate da un unico tronco. Immaginiamo quanto dovevano essere enormi le querce roveri delle foreste lambite dal Gerundo per poterci scavare dentro lo spazio per farci sedere un uomo!
Le piroghe erano di grandezza variabile a seconda dell’impiego: per la pesca, il commercio o la guerra. La grandezza e la forma delle piroghe dimostra che erano impiegate in acque paludose o lacustri, non alla navigazione fluviale. Si tratta di imbarcazioni costruite nell’Alto Medioevo con tecniche che risalgono al neolitico.
Le battaglie navali
In epoche più recenti, nel Gerundo navigavano vere e proprie navi, le medesime che percorrevano i fiumi e i laghi di tutta l’Europa, fino a raggiungere il mare aperto. Cocche, burchi, bucintori e galee che parteciparono anche a battaglie navali. Accadde qui come nella parte più orientale della Padania. Le flotte fluviali di Venezia e di Ferrara si scontrarono spesso in furibonde battaglie combattute da marinai d’acqua dolce non meno esperti navigatori di quelli delle acque salate.
L'”Insula Fulcheria”, la più grande delle isole del mare Gerundo, prendeva il nome da Fulcherio, il duca longobardo che l’aveva avuta in feudo dopo la conquista della Lombardia. Crema, per lunghi anni, è stata il capoluogo di un’isola difficilmente conquistabile. Era protetta da fortificazioni con bastioni e torri i cui relitti erano visibili fino a pochi decenni or sono a Vaiano. Ne parla Antonio Zavaglio nel volume “Terre nostre”, pubblicato a Cremona nel 1946.
Ci volle un’alleanza coi cremonesi, pratici del Gerundo, perché l’imperatore Barbarossa riuscisse a espugnare Crema dopo un assedio durato dal luglio del 1159 al febbraio del 1160. Le cronache dell’epoca del Barbarossa riferiscono che i cremonesi si recarono all’assedio di Lodi e di Crema “con apparato nautico per le interposte paludi”. Conquistato il territorio, il Barbarossa donò l’isola di Fulcheria al cremonese Tinto, detto Muso di gatta, con un atto del 17 maggio 1159.
Il prosciugamento delle paludi
Alla sparizione del lago Gerundo hanno naturalmente contribuito molti fattori, anche se la fantasia popolare, come abbiamo visto nel caso di San Cristoforo e del drago Tarantasio, preferisce spiegazioni miracolose o eroiche. I fattori climatici sono sicuramente da porsi in primo piano.Il periodo di maggiore espansione del lago, quando fu definito addirittura “mare”, coincide col periodo caldo dell’Alto Medioevo. Lo scioglimento dei ghiacciai e la grande piovosità favorirono la formazione nella Pianura Padana di acquitrini e valli. Questo avvenne proprio nel momento in cui l’uomo si accingeva a riconquistare quelle plaghe che erano state fertili ai tempi dei romani.
Dal XIII secolo in avanti il clima cambia andamento. Entriamo nella Piccola Età Glaciale, durata fino a metà del secolo scorso e caratterizzata dal prosciugamento delle paludi assecondato dall’opera dell’uomo.
Non va dimenticato il lavoro dei monaci che fecero di Nonantola, San Benedetto, Pomposa e altre località padane importanti centri agricoli. I monaci lavoravano in osservanza alle regole dettate da Sant’Oddone, abate di Cluny. Si occupavano della cura dei poveri, dell’assistenza ai pellegrini e, soprattutto, della colonizzazione delle terre vergini o tornate incolte a causa delle invasioni barbariche che avevano cacciato la gente dalle campagne. Nell’area interessata al lago Gerundo sorsero le abbazie di Caravaggio, Barbata, Bottaiano, Ombriano, Crema, Madignano, Carreto, Trignano. La costruzione di canali e fossati favorì lo smaltimento delle acque. Lentamente ma inesorabilmente, le zone occupate dall’acquitrino diminuirono.
Le risorgive attuali
Oggi uniche testimonianze di quell’abbondanza di acqua sono i fondali, o risorgive (o sorgenti di affioramento): vere e proprie sorgenti di pianura, caratteristiche della Pianura Padana. Microambienti con una ricca vegetazione naturale di sambuchi e di sanguinelli e con diverse specie di anfibi che prosperano tra le erbe acquatiche. Una limpida ricchezza che un tempo andava ad alimentare il lago Gerundo, e che oggi l’uomo ha domato e convoglia verso le campagne di Lombardia, tutte coltivate e ordinate, dove passando in macchina è difficile immaginare il selvaggio mare di un tempo che sembra appartenere solo ai tempi di Tarantasio.
Fonte: Storia di un mare perduto (di Giuseppe Pederiali), informazioni per far conoscere le nostre origini e leggende