Servono mediamente 10 anni per digerire i fatti della propria vita e dar loro un senso nella propria produzione letteraria.
Alex Bentley, dell’università di Bristol, ha correlato l’andamento economico alla frequenza di alcune parole chiave nei testi letterari inglesi del 20esimo secolo digitalizzati da google. Queste parole chiave si possono ricollegare ai sentimenti base: rabbia, disgusto, paura, gioia, stress, tristezza e sorpresa.
Alberto Acerbi, co-autore dell’articolo pubblicato su Plos One, illustra i risultati sottolineando come gli anni della prima guerra mondiale, della depressione del ’35 e della crisi energetica del ’75 siano caratterizzati da un picco nella “miseria letteraria”, ovvero nello spostarsi dell’equilibrio tra le parole riferibili alla tristezza e quelle riferite alla gioia.
Bentley ipotizza che le esperienze vissute nell’infanzia, momento di profonda formazione personale, si riversino poi nella produzione letteraria e in particolare negli scritti giovanili. Io credo che lo spostamento di 10 anni tra il vissuto e lo scritto si applichi anche agli scrittori adulti e maturi. Credo sia un tempo fisiologico necessario a digerire la propria esperienza di vita, sommato ai tempi geologici necessari a scrivere, far accettare, editare e pubblicare un libro.
Sono curiosa di sapere se questo gap si accorcerà ora che le edizioni digitali permettono di tagliare i tempi di attesa tipici dell’editoria cartacea.
Via | Bristol University